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La prima volta

“Amo l’atletica perché è poesia. Se la notte sogno, sogno di essere un maratoneta”.

Eugenio Montale

Che dire…ce l’ho fatta. Ho tagliato il traguardo dopo 42 km e 195 metri.

Ho sempre sognato di fare la mia piccola impresa, io non sono mai stato un cuor di leone, la sofferenza mi spaventa, lo sforzo fisico mi destabilizza. Non è paura, intendiamoci, è solamente la consapevolezza che non tutti siamo fatti allo stesso modo.

L’avevo progettata da un po’, in realtà avrei voluto fare la mia prima maratona a 40 anni ma le circostanze hanno voluto che si spostasse l’evento di un anno.

E’ da aprile che mi faccio un culo così correndo quattro volte alla settimana con una media negli ultimi mesi di 50 km a settimana.

Ho provato la sofferenza dei lunghi, le ripetute, gli interval training. Insomma non ho dato nulla per scontato, ho addirittura rinunciato nelle ultime settimane a giocare a pallone per paura di farmi male e non poter affrontare la maratona.

Comunque siamo arrivati al giorno prima di correre e a Torino l’aria è irrespirabile causa siccità e inquinamento, inoltre le valli adiacenti a Torino bruciano e  la fuliggine sta creando seri problemi al clima in città e nei paesi limitrofi.

Alle 17.30 vertice in Comune per decidere se l’evento si terrà o si annullerà per non mettere in pericolo i corridori.

Tremo all’idea di vanificare sei mesi di sacrifici. E’ da stamattina che sono eccitato come un bimbo alle giostre non possono privarmi della mia prima (e forse ultima) maratona.

Si corre. E’ deciso e mi rilasso, per cena neppure un bicchiere di vino solo carboidrati verdura e poche proteine. Bevo da 3 mesi circa due litri di acqua al giorno e faccio pipì in continuazione.

Dicono che essere ben idratati serva. Sono pronto, sono carico, sono affamato di adrenalina e mi voglio memorizzare tutti i 42 km che andrò a fare.

Si parte con 8 gradi, non fa caldo io uso maniche corte e calzoncini e un intimo termico. Bastano 2 km per essere caldi. Soffrono le mani, ma anche quelle a breve si riscaldano. L’aria sembra respirabile, spira un poco di vento.

Al parco del Valentino dopo pochi Km mi aspettano Fede e suo papà, quasi non mi vedono. I primi incitamenti. Ci scappa la pipì che decidiamo di fare uscendo da Moncalieri intorno al 10km. Perdiamo quasi un minuto.

Ritmo da tenere 5.40 al km, obiettivo chiuderla in 4 ore.

C’è pubblico, ma non tantissimo. Una banda ci accoglie in centro a Moncalieri, a Nichelino invece c’è un bar che passa la disco music. I bimbi a bordo strada mi allungano la mano per un cinque. E’ uno dei ricordi più belli che ho di questa maratona.

Siamo circa a metà e circumnavighiamo la Reggia di Stupinigi, Siamo tranquilli, ci fermiamo a ogni ristoro per un poco di sali e acqua. Chiacchieriamo anche se dal 21 in poi le parole si fanno più rade. Io continuo con il mio ritmo, siamo fuori da Torino, mi sento bene anche se un piccolo fastidio all’anca mi perseguita dai primi chilometri.

Non sto sudando molto e nemmeno mi cola il naso. Al trentesimo chilometro mi aspettano fede suo papà e i miei amici Pier e Mara con le loro bimbe. Mi fermo a dare un cinque a Margherita. Sto da dio ma so che ho appena oltrepassato il muro e quindi tutto può succedere. Ultima carica di fruttosio al 35km, Enrico si stacca mentre coach Lunardon mi sta a fianco incitandomi con i suoi mantra tibetani su energia, cerchi di luce e cose new age.

Uno stronzo a bordo strada da una macchina anni novanta grida che abbiamo rotto i coglioni. Io rispondo per le rime con un sonoro “Vaffanculo coglione”. Mai insulto fu più gradito da parte mia a quell’imbecille su un auto che magari andava a giocare alle macchinette al bar. Ribadisco “coglione”. Sono incazzato come una bestia anche perchè guardava proprio me quello stronzo. Andrea cerca di tranquilizzarmi.

Al 35° ci aspettano i nostri amici della Team Marathon, tutti quelli che hanno corso con me in questi mesi. Mi danno sali, pacche sulle spalle. La prof. (ossia Gabriella un’arzilla cinquantenne che dimostra molti meno anni e non ha mai mollato in questi mesi) mi offre della coca cola che io sdegnato rifiuto. Nel post gara le dirò che la coca cola la concepisco solo se con il rum!

Inizia la fatica vera, le gambe vanno la testa inizia a evadere. Penso alla mia mamma, alla mia vita, alla fatica. Non guardo più le persone per strada, aspetto i ristori. Il ritmo cala leggermente.

Dal 38 inizia davvero la fatica…eppure manca davvero poco. Siamo quasi in centro…piazza Rivoli, corso Francia. Diciamo che fino a 30° km la corsa è sport, oltre diventa masochismo, o almeno questo sto pensando mentre cerco di mantenere l’andatura costante. La fatica la percepisco quando inizio ad abbassare il capo e la schiena tende ad ingobbirsi, ormai bisogna concentrarsi solo sulla testa e tenere i pensieri positivi. Andrea mi indica degli obiettivi facili, superare le persone davanti a me e ogni 200 metri mi indica un nuovo obiettivo.

Penso ad un gruppo di amici e ad una persona speciale che mi aspetta intorno a via Racconigi, ma non vedo nessuno anche se devo ammettere che ormai guardo quasi esclusivamente la strada davanti, non ho più visione periferica…

Arranco ma non mollo, penso solo al ristoro dei 40. Manca davvero poco cristo. Davanti a me inizio a vedere gente camminare che ha finito la benzina e alcuni sdraiati con i crampi. Fisicamente sto bene nessuna cattiva sensazione, solo che vado avanti come se mi mancasse un pistone. Ho rallentato tanto, sono sempre stato tra i 5.30 e i 5.45 ma il 39 km fa segnare 5.51 mentre, complice il ristoro, il 40 fa segnare un 6.24. Li bevo tutto quello che trovo, sali, acqua, mordo una fetta d’arancia. Ricomincio. Gli ultimi due chilometri non finisco più, vedo la stazione e giro in via Roma. Sento puzza di arrivo e la gente è tanta ai bordi della strada.

Fabio, un altro ragazzo che ha corso con noi, mi affianca per delle foto e mi rincuora. Andrea inizia a gridare che sono alla mia prima maratona e ce l’ho fatta, io stringo i denti ma fatico. Vedo l’arrivo e vedo Federica, i miei amici, Raso che mi incita, alzo  il pugno al cielo e faccio un sorriso, ma sembra più che altro una smorfia. Alzo la testa e il tabellone del reale indica 4h e qualche minuto. Non ci penso e taglio il traguardo. Mi piego su me stesso, stringo la mano ad Andrea, ricevo la medaglia, sua moglie mi dice qualcosa che non capisco. Sono confuso ma felice. Immaginavo che mi sarei commosso al traguardo, ma non ho nemmeno la forza per farlo.

Passano i minuti, le gambe sono dure ma inizio a metabolizzare quello che ho fatto e mi sento bene. Sono orgoglioso e non vedo l’ora di bere un bicchiere di vino rosso. Sul momento non capisci bene quello che hai fatto, per carità ormai molta gente si cimenta con la maratona per cui non stiamo palando di scalare il K2 in solitario, però ti gusti una sensazione nuova di compiacimento, come quando finisce un film bellissimo al cinema e sospiri di piacere.

Nonostante i 42km tutta la gente che ha corso ha lo sguardo felice, soddisfatto, orgoglioso. Mi sento diverso perché ho raggiunto il mio obiettivo e ho capito che chi guardava provava emozione per me.

L’avvocato si è commosso, Fede mi ha abbracciato ed io, superato il traguardo stringendo il pugno, ho detto solo una cosa (forse l’ho anche urlata):

“Sì”.

 

 

Turin Marathon 29 ottobre 2017

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Luca Bertellè

Amo la corrispondenza orale davanti a una bottiglia, con chiasso e schiocchezze in abbondanza (J. Reynolds 1732-1792)

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